Star bene con noi stessi e con il nostro corpo è un aspetto essenziale, quanto complesso per il benessere psico-fisico. Attraverso l’immagine del nostro corpo definiamo chi siamo, comunichiamo ed entriamo in relazione: quello che pensiamo sul nostro corpo e quello che riteniamo pensino le altre persone di noi è una parte importante che concorre a strutturare la nostra identità.
Eppure, quante volte siamo completamente soddisfatti della nostra immagine guardandoci allo specchio? Probabilmente non molte. E quante volte invece ci sentiamo demoralizzati davanti a un’immagine di un corpo o di un volto apparentemente perfetto visto in tv o su una rivista? Credo sia capitato a tutti un certo numero di volte.
Ciò che chiamiamo “bello” è qualcosa che cattura la nostra attenzione e ci trasmette sensazioni piacevoli; la percezione del bello è variabile a seconda dei periodi storici e dei parametri culturali e sociali, tuttavia la cultura, soprattutto in questi ultimi anni, ha posto molta enfasi sulla bellezza ed i suoi significati, portandoci a compiere delle associazioni piuttosto immediate “bello = essere accettato”, “bello = buono”, “bello = essere stimato”, “bello = di maggior successo”, “bello = in salute”, “bello = più prestante” ecc..
Il nostro corpo è in continuo cambiamento, ma è durante l’adolescenza che le trasformazioni si fanno più incisive, segnando il passaggio da un corpo bambino ad un corpo adulto; i cambiamenti che si verificano in questo periodo della vita interessano principalmente l’aumento dell’altezza, del peso, l’accumulo del tessuto adiposo, lo sviluppo dei genitali e dei caratteri sessuali secondari ed è possibile che ciò provochi una temporanea disarmonia e porti ad un’insoddisfazione per il proprio corpo. Di pari passo alle modificazioni fisiche, la nostra identità si struttura e anche il pensiero si modifica: compaiono il pensiero astratto e la funzione riflessiva, che ci rende capaci di operazioni mentali più complesse, come quella di riflettere in modo critico su noi stessi.
Il corpo in adolescenza, momento di uscita dalla famiglia e di confronto e affermazione nel mondo esterno, diventa un tramite importantissimo per relazionarsi con gli altri e ciò può accompagnarsi a paura di essere criticati, rifiutati, sentimenti di inadeguatezza ed esperienze deludenti. In questo tumulto di cambiamenti ed emozioni, possono fare la loro comparsa ansie di tipo dismorfofobico, fisiologiche e passeggere. Tuttavia, è anche possibile che le preoccupazioni per il proprio aspetto si consolidino e strutturino in un problema ben più complesso ed estremamente invalidante, che prende il nome di Disturbo di Dismorfismo Corporeo, che può perdurare ben oltre l’adolescenza e riguardare entrambi i sessi.
Quando siamo in presenza di tale disturbo, la persona è fortemente preoccupata per un supposto difetto fisico o imperfezione, che non è osservabile o è presente in modo lieve, al punto che il suo funzionamento quotidiano, nelle relazioni, a scuola o sul lavoro ne risente grandemente.
La persona con dismorfofobia percepisce un difetto, del tutto inesistente o lievemente presente, che occupa la maggior parte dello spazio mentale al punto da rendere impossibile l’esistenza, come se tutta l’inadeguatezza della propria persona, tutte le “bruttezze”, sia fisiche che psicologiche, fossero concentrate in quel punto, tanto da credere che se quel difetto fosse risolto la vita sarebbe facile, bella e i problemi inesistenti.
Le parti del corpo che solitamente destano maggiore preoccupazione sono la pelle, i capelli, il naso o altri elementi del viso, ma in realtà ogni parte può essere investita dalle preoccupazioni e non è infrequente che nel tempo ci possa essere uno spostamento dell’attenzione tra varie zone interessate o preoccupazioni per l’aspetto complessivo, per esempio per la corporatura troppo esile o per un corpo poco muscoloso.
La persona è preda di emozioni negative: la vergogna è una delle più frequenti, data dalla percezione di avere qualcosa che non va, dal sentirsi diversa e dal credere che la mostruosità estetica riveli agli altri una mostruosità più profonda, che ha a che fare con il sentirsi una brutta persona; spesso sono sperimentate anche altre emozioni, quali: colpa, tristezza, rabbia, frustrazione e invidia per il fatto di essere stati privati di qualcosa che gli altri possiedono. Talvolta le emozioni sono così intense che possono spingere a compiere azioni impulsive o a chiudersi sempre più in se stessi, fino a ritirarsi e a vedere quindi compromesse le proprie relazioni.
Nella vita di una persona che soffre di dismorfofobia una grande quantità di tempo viene spesa controllando la parte ritenuta difettosa (per esempio, passando molto tempo davanti alla specchio), pensando al difetto o cercando di correggerlo (per esempio, usando creme o facendo uso eccessivo di make up), è frequente ricorrere a consulti di vari specialisti, cercare rassicurazioni e nei casi più estremi sottoporsi a numerosi interventi chirurgici, perché mai soddisfatta del risultato. Difficilmente la persona si rivolge a specialisti della salute mentale, perché convinta della presenza del difetto fisico, ma quando il Disturbo di Dismorfismo Corporeo è presente è soltanto attraverso l’elaborazione dei contenuti originati da esperienze dolorose che si potrà riuscire a guardare lo specchio accettando l’immagine che riflette, senza viverla come mostruosa, anche se lontana da quella desiderata o con qualche imperfezione.
Autrice: Dott.ssa Elisabetta Frosali
Revisora: Dott.ssa Eleonora Sirsi
Bibliografia:
American Psychiatric Association. (2013). DSM 5. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th-Ed.).
Scarinci, A., & Lorenzini, R. (2015). Disturbo di Dismorfismo Corporeo. Assessment, diagnosi e trattamento. Trento: Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
Ph. credits: @heckmannoleg