A cosa si è disposti a rinunciare pur di non perdere il lavoro?
Questa è la domanda a cui undici donne di provenienza e di età diverse devono rispondere. Fanno parte del Consiglio di fabbrica di un’azienda tessile in procinto di essere rilevata da una ditta francese più grande e più potente. I nuovi capi però paventano il rischio di chiusura per lo stabilimento italiano, con tutte le conseguenze del caso per i trecento operai, in maggioranza donne. Tuttavia, per voce dell’amministratrice delegata, Madame Rochette, viene fatta una proposta nel corso di una interminabile riunione fra i vertici aziendali a cui prende parte anche Bianca, la rappresentante del consiglio di fabbrica. Le altre sue compagne intanto attendono in un clima di palpabile tensione.
Finalmente Bianca esce provata dalla riunione con in mano undici lettere, una per ciascuna di loro, dentro le quali c’è la condizione a cui dovranno rispondere. La fabbrica cioè non chiuderà se accetteranno che la pausa pranzo si riduca da quindici a otto minuti, cioè sette minuti di meno. La richiesta appare tutto sommato accettabile, in cambio della salvezza del posto di lavoro, e senza esitazione danno la loro approvazione. Una di loro avverte addirittura le altre operaie in picchetto fuori dalla fabbrica che tutto è finito bene e scoppia la gioia generale. Ma Bianca solleva un dubbio, chiede prudenza prima di accettare e invita a “leggere anche quello che non è scritto” nella lettera. Hanno due ore circa per votare ed esprimere il loro parere.
E’ allora che il vaso di Pandora si apre e i drammi personali di ognuna di loro prendono vita. Hira è la ragazza albanese che voterà sì perché vuole togliersi di torno il vecchio titolare che la molesta da tempo. Micaela è romena e voterà sì perché perdere il lavoro in fabbrica per lei sarebbe tornare indietro a svolgere mansioni umilianti e senza futuro. Kidal viene dall’ Africa e per lei, che nemmeno pensava quando era al suo paese che esistesse il diritto alla pausa pranzo, otto minuti sono più che sufficienti. E poi c’è Angela, che ha il marito disoccupato, c’è Alice che ha vent’anni e vuole costruire la sua vita. Anche Greta, Sandra e Marianna e tutte le altre voteranno sì. Solo Bianca esprime un no deciso, perché “a forza di votare sette minuti di meno si finisce per cedere su tutto”. Finalmente però Marianna capisce che dietro alla riduzione dei minuti c’è in realtà l’aumento del monte ore mensile di lavoro a favore dell’azienda e a parità di stipendio per le operaie. Molte di loro quindi iniziano a cambiare idea sulla proposta, ma altre no e prosegue il balletto dei rinfacci e delle accuse personali. La necessità di mangiare o di avere un posto di lavoro per poter restare in Italia e non tornare negli inferni in terra dai quali provengono, è più forte dei diritti da non calpestare. Seguirà una votazione concitata, alla fine della quale vinceranno le approvazioni e Bianca si dimette dal suo incarico. Non può accettare che si possa rinunciare ai propri diritti così facilmente. Sa che le ragioni per il sì sono legittime, ma lei è troppo vecchia e stanca per sopportare questa sconfitta della dignità del lavoro. Intanto però fra le altre il dubbio aumenta e ci sarà una seconda votazione. Questa volta il risultato, anche se non unanime, lascerà uno spiraglio ai dubbi di Bianca.
Il film è ispirato ad una storia vera accaduta in una fabbrica francese nel 2012. Michele Placido ha trasposto la vicenda in Italia, ma il senso non muta. Quello che salta agli occhi, al d là della legittimità delle lotte per il lavoro, è la condizione della donna lavoratrice, a qualunque livello svolga le sue mansioni. Ognuna di loro, oltre all’attività fuori casa, gestisce un privato che diventa un secondo lavoro ed al quale deve rendere conto. Sia che si tratti del marito e dei figli disoccupati delle operaie, sia che si tratti del compleanno del nipotino a Parigi, dove è attesa la dirigente francese e che si affretta a raggiungere piantando in asso la votazione ancora non conclusa, cedendo probabilmente al compromesso fra l’essere una nonna e una professionista con grandi responsabilità sulle spalle.
La vicenda fa riflettere sull’importanza di avere un’attività che permetta di vivere e che sia garantita da diritti e doveri. Allo stesso tempo invita a guardare alle donne che ancora devono subire i percorsi più tortuosi per mantenere un posto di lavoro. In questo tempo di pandemia, la storia narrata diventa ancora più attuale perchè il lavoro è diventato merce preziosa per tutti. Il rischio è che ci saranno tanti altri “sette minuti” con i quali si dovrà battagliare. Come lascia intendere il film, ci sarà da impegnarsi molto affinché “là fuori si veda bene che è in atto un nuovo gioco che toglie i diritti anziché darli”, un gioco contro il quale bisognerà riuscire a non cedere.
Autrice: Dott.ssa Sara Amerini
Supervisore: Dott. Stefano Cosi